Una ipotetica conversazione tra volatili del nostro territorio.
Quelli là sotto hanno un grosso problema in questo momento…
-Si, sono sempre chiusi in casa, chissà cosa sta succedendo…
Mah!… Di preciso non so, sono tutti agitati, mai visto cosi poca gente in giro.
-Ho sentito parlare di un virus, mi pare si chiami Covid19, una roba che arriva dalla Cina, ma per nostra fortuna tocca solo gli umani.
Ho sentito anch’io, pensa che mi hanno detto che devono sempre stare in casa, e solo uscire per comprarsi il cibo e le cose più urgenti.
– Eh mica come noi che, seguendo il ciclo di Luna, sole e stelle, tutti i giorni per il mangiare una fatica di ramo in ramo, ogni tanto e bene che patiscano un po anche loro.
Si ma deve essere una cosa seria, con così poca gente in giro.
L’amico Airone che vede più lontano per la sua altezza mi ha detto che hanno chiuso tutte le cose non necessarie: bar, negozi e tutti quei servizi non essenziali. Possono andare al lavoro e uscire per le urgenze mediche.Ecco vedi loro sono sempre avvantaggiati, lavoro, salute, svago…
-Beh, non direi, sono messi male adesso, devono riguardarsi un po’, ne va della loro salute…
Si ma c’è ancora troppo gente in giro, rischiano di ammalarsi tutti, poveri i nostro cugini cagnolini che devono farsi passeggiate tutto il giorno…
-Pensa che ho saputo che hanno fermato tante cose: cinema, teatri, ristoranti tante fabbriche, le scuole ed anche lo sport, ed è proprio una cosa grave.
Ecco, la cultura è sempre la prima cosa che fermano, come se la gente non abbia bisogno del sapere… Ma meno male che loro hanno internet che li aiuta a passare il tempo e possono trovare spazi di cultura sul web.
-Ah si proprio, tante di quelle robe assurde ci trovi la sopra…
Ma dai, ci sono anche cose che servono, e poi in questo momento che gli umani non possono stare insieme, almeno si incontrano virtualmente.
-La cosa però mi preoccupa un poco, se devono aver bisogno che altri gli organizzano le giornate a casa, sono un po persi nel loro mondo, capitasse a noi saremmo già tutti stecchiti di fame.
Si, vero, però dopo tanti anni che non sei più abituato a tutte quelle “relazioni da strada e da cortile” fai fatica a gestirti il tuo tempo libero da solo.
-E come mai questa roba?
L’evolversi dei tempi, il progresso dicono….
-Speriamo che a noi volatili non succeda…
Mi sembra di aver sentito che tanta gente è rimasta a casa, ed in questo periodo ha perso momentaneamente il lavoro.
-Beh, si molte aziende hanno chiuso temporaneamente, e chi può fa lo Smart Working.
Smart che?……
-Ma si dai, il lavoro da casa, ma aggiornati un po’….
E chi continua a lavorare?
-Ci sono tutte una serie di cose da fare per lavorare in sicurezza, sempre che le aziende abbiano voglia di farlo. Mi hanno raccontato che alcune aziende attente ai bisogni dei propri dipendenti forniscano loro disinfettanti saponi e fanno salti mortali per trovare le mascherine per proteggere uno dei beni più grandi che un’azienda possa avere. I propri dipendenti.
Ma non tutte le aziende sono così, tante lasciano i propri dipendenti al loro destino….
-Ah… quindi anche in questo momento che gli umani devono essere uniti riescono a dividersi… e quindi l’obbligo di proteggersi e proteggere gli altri dal contagio è sostanzialmente scaricato sulla lavoratrice e sul lavoratore, compresi quelli più ricattabili, i precari e non sindacalizzati, quelli delle cooperative, le partita iva che lavorano nelle redazioni di giornali e programmi tv, i “liberi professionisti” che pedalano, i “collaboratori” che puliscono e via dicendo
Quindi i nostri coinquilini che sono in emergenza, in una situazione mai vista prima, preferiscono contenere il debito più che il contagio, ma, data l’inedita e drammatica emergenza, hanno fermato tutte le attività non indispensabili quali il Parlamento, sospeso le elezioni, fermato la scuola, posticipato interventi chirurgici e sedute di chemioterapia. E non possono imporre per legge alle imprese – come per legge viene imposto ai cittadini di stare a casa –di rifornire i lavoratori di guanti e mascherine?
-Eh già a quanto pare possono smettere di istruire i giovani, vedere i loro cari, curarsi, passeggiare, fare l’amore, ma non di toccare l’economia? A questo li ha condotti il sistema che hanno adottato come se fosse l’unico fattibile?
Difficile capirli, ore però per evitare guai anche per noi stiamo ad un metro di distanza e solo uno per famiglia a fare la spesa…..
L’odore di candeggina accompagna il mio ingresso in reparto. A pochi metri da me una striscia di nylon bianca ed arancione sostiene un cartello fatto con carta da fotocopiatrice. La scritta è eloquente, VIETATO ENTRARE. Entro con cautela nella “zona pulita.” La stanza è visibilmente riorganizzata, grandi scatole accatastate coprono le pareti, sopra ogni ripiano contenitori con pistole a spruzzo gocciolano copiosamente. Una grande finestra aperta, si affaccia nel buio. Solo qualche luce lontana scintilla silenziosa. Una giovane ragazza, con lunghi capelli neri mi saluta, esile come un fuscello. Un’altra giovane donna esce da una porta laterale. Il suo passo è più deciso. Capelli corti, occhi chiarissimi. Mi presento, “Ciao, sono Graziano, questa notte lavorerò qui. Ditemi tutto, io alle spalle ho 30 anni di psichiatria, voi?”. Un grande silenzio… Poi, “Qui va bene tutto, nessun problema, io ad esempio ho bisogno di uno psichiatra, sono cosi fusa che non ricordo neppure il mio nome.” Ridiamo tutti assieme, nel frattempo mi siedo. Guardo il cartellone dei pazienti. 20 ricoverati, un solo posto libero. Da un’altra porta vedo arrivare un’altra collega, la riconosco dalla divisa. Il volto è coperto dalla mascherina in basso e dei profondi solchi in viso e nella fronte, intravedo la base del naso, sembra arrossato, ma non oso chiedere nulla. Sono l’ultimo arrivato. In attesa della consegna, per non rimanere fermo prendo una bottiglia con lo spruzzo, una manopola e comincio a detergere tutto. Nonostante la mascherina l’odore pungente di candeggina penetra le mie narici. Le maniglie sono i primi bersagli, poi ripiani, tavoli, scrivanie, stipetti, non manco nessun bersaglio. Ormai siamo tutti presenti. Inizia la consegna. La collega arrivata dalla porta del corridoio, inizia a parlare con dovizia di particolari. Il sig. xxx, è portatore di Venturi al 4% di ossigeno, satura al 90% ma in aria libera va sotto l’80%, l’EGA in aria libera è pessimo, in ventilazione discreto. PO2 nei limiti della norma, ma ieri molto peggio. Deve ripetere l’EGA domattina, più tutti gli esami in urgenza. Non ha un buon emocromo, e gli enzimi epatici sono tutti alterati, inoltre è KC positivo. Ha avuto due scariche diarroiche, feci non formate. Il secondo tampone al Coronavirus ha dato esito positivo. La mia mente comincia a girare vorticosamente. “La Venturi? Questa è un’avventura altro che Venturi.” Penso fra me e me, poi guardo il foglio della consegna, vi sono una serie di simboli accanto alle parole che sicuramente hanno un significato… ma quale? Non mi perdo d’animo, basta chiedere, ma non ora. Ascolto con estrema attenzione il resto della consegna. Le mie mani sono ferme, anche la mente lo è. Finita la consegna rimango con altre due colleghe. Siano fortunati ad essere in tre… senza dire nulla, una delle due, forse per rispetto della mia calvizie e barba bianca, dice, “Mi cambio io, inizio da sola, poi verso le tre venite voi e io resto nella zona pulita. Domattina vi sono 16 prelievi e 12 EGA, meglio essere in due. Alle 6,00 vi è anche molta terapia. Soprattutto endovenosa, qualcosa è già preparato, il resto è da preparare. Meglio che inizio.” Come un automa apre un armadio e tira fuori una serie di presidi, una tuta bianca da “imbianchino,” con un cappuccio, calzari azzurri per gli zoccoli, calzari verdi che coprono fino ai polpacci, due sacchetti dalla spazzatura piccoli, anche se non capisco l’uso, un grosso e pesante camice verde con dei lacci laterali e dietro, un paio di guanti con le maniche lunghe, un paio di guanti con le maniche più corte, poi cerca dentro l’armadio altro. Già solo per la prima ricerca sono passati molti minuti… Dopo estrae degli occhiali apparentemente da palombaro, di plastica trasparente, che coprono anche la parte laterale, degli occhi. Poi inquieta ma concentrata prende da un altro armadio l’oggetto più indispensabile. La mascherina ffp2. Ci guarda e dice, “Ne abbiamo solo tre per questa notte e quattro per domattina, non dobbiamo sprecarle. Io guardo le mascherine con estremo rispetto. Il mio sguardo è fisso sopra di loro… non voglio guardare la collega, provo un enorme rispetto per la sua sicurezza. Ma ad un tratto vedo il suo volto corrucciarsi, gli occhi si inumidiscono. Lei sente il mio sguardo addosso, “Scusate la candeggina mi irrita gli occhi,” poi si gira e va in bagno, sento che strappa della carta. Non so che fare o cosa dire, l’altra collega ha lo sguardo basso. L’odore di candeggina e davvero pungente, viene da piangere anche a me… Si mi viene da piangere non da lacrimare. Mi alzo e vado verso la finestra, respiro ad ampie boccate, guardo il buio, il nero, il vuoto, l’incertezza. Le mie mani sono appoggiate al davanzale, le immagino già contaminate. Poi lentamente torno in me. Mi giro e dico, “Vado io se vuoi, nessun problema,” “No, non puoi, non conosci i pazienti e sei del tutto nuovo, andrai dopo con Francesca, io me la cavo benissimo, è la seconda notte che faccio,” “Va bene come vuoi tu”. Rispondo io quasi bloccando il tempo ed il respiro. Quindi la giovane donna, la giovane collega, inizia la vestizione…
Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.
A cura di Graziano Di Benedetto
Scrittore – Attore
Siamo a cena. Si sente solo il tintinnio delle posate che urtano i piatti. Forse fanno più rumore i pensieri. Una semplice frittata ed un’insalata. La voglia di cucinare è scappata via, accompagnata dalle brutte notizie. Le parole sarebbero un contorno amaro, poco digeribile. Silenzio. Un silenzio molto rumoroso. “Vado a riposare un po’, cosi sarò più fresco dopo,” mi ritiro in camera. Chiudo gli occhi ma immagini viste ai notiziari mi impediscono di riposare. Meglio alzarsi e prepararsi. Aspettare è una tortura. Indosso una tuta, più pratica, si leva prima e si lava in fretta. Saluto senza guardare, da un’altra stanza. Non voglio vedere nessuno e non voglio essere visto. Un ultimo gesto. Tolgo l’anello nuziale, la fede, e la ripongo dentro un libro. Un oggetto che potrebbe essere d’intralcio alle attività. Mi sento nudo, solo. La mancanza di un anello può darmi questa sensazione? L’auto puzza di umidità. Forse puzza di paura. Non accendo nemmeno la radio. Voglio sentire il mio respiro, la strada quasi deserta, poche auto scivolano sull’asfalto come pensieri impazziti. Dopo poco, troppo poco, eccomi davanti al nosocomio. Grande per gli uomini, inerme di fronte al virus. Le finestre chiuse sembrano occhi, incapaci di guardare la realtà. Chiusi per nascondersi e per nascondere. A passi veloci salgo per la salita, tutto inizia con difficoltà. La salita non è ripida ma è lunga… apro la grande porta, la spingo con forza, è pesante, scricchiola, cigola, sembra lamentarsi di qualcosa di indefinito. Dopo pochi passi le mie narici vengono riempite di un odore acre, acido, irritante. Mi vedo bambino quando, mi recavo con i miei genitori in ospedale. Qui tutto odorava di alcool e segatura, anche altri odori aleggiavano, erano odori che toglievano l’appetito… rimanevo in portineria, i bambini non potevano entrare. Ma adesso per me la portineria è solo un passaggio. Le scale luccicano, forse piangono. Le luci riflettono sopra i marmi pezzi di luce fastidiosa. Corridoi vuoti. Nessun passo, nessun rumore. Solo silenzio. Porto con me in una busta di carta la divisa, le scarpe nient’altro. Nelle tasche solo la chiave dell’armadietto la carta d’identità le chiavi della macchina e di casa. Si di casa… l’unico rumore è il cartellino che passando suona. Un suono stonato. Acuto, penetrante. La mascherina chirurgica respinge il mio respiro, l’umidità è fastidiosa. Sento l’odore dell’anima forse, quell’anima che non si lamenta, quell’anima che mi accarezza, quell’anima che spinge i cattivi pensieri altrove. Anche lo spogliatoio è vuoto. Sono in enorme anticipo, ma questo è il modo di essere. Odio il ritardo. Il rumore metallico dell’armadietto è l’unica compagnia, ma è grigio, arrugginito, piegato da anni di passaggi. Lo trovo brutto, spento, non d’aiuto. Le macchie di ruggine sembrano cicatrici e lacrime. Devo cambiare pensieri. No. Non devo iniziare cosi. “Tutto andrà bene, tutto andrà bene, “ mi ripeto, imitando gli hashtag del momento. Esco dallo spogliatoio. Percorro il lungo corridoio, mi guardano solo i muri. La statua dell’androne è troppo seria per me. La saluto con un “Arrivederci a domani, non andare via, “ poi mi metto a ridere da solo, ma questo si deve fare. Ridere e sorridere. La tristezza non deve accompagnarmi. La tristezza è cattiva consigliera, ti costringe a vivere male, per poi dissetarsi delle tue lacrime. Non voglio darle da bere. Devo farle soffrire la sete e la fame. Le scale mi sembrano poco faticose adesso. Giro a sinistra… ecco ci sono. Un grosso sospiro, un grande sorriso nascosto dalla mascherina ma visibile all’anima. Suono il campanello…
Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.
A cura di Graziano Di Benedetto
Scrittore – Attore
Era circa metà gennaio: in Italia arrivavano spot, notizie di una nuova influenza, provocata da un virus non ben definito. L’epicentro era la Cina. Si vedevano immagini di mercati dove animali morti come pipistrelli, topi, serpenti, cani e animali vivi, ammassati e malnutriti erano in vendita davanti a una massa incredibile di persone, che si accalcava per acquistarli. Ero distratto da altro, famiglia da accudire, presentazioni di libri in programma, lezioni universitarie da preparare e quotidianità da svolgere. Per rassicurarmi coniai un piccolo proverbio, “la Cina non è viCina”, così facendo, chiusi la mia paura in un cassetto e mi gettai nelle mie attività. Il tempo passava e i telegiornali, sempre più insistentemente distribuivano notizie riguardo l’influenza e nel frattempo, dosavano paura e ansia. Ma era periodo di carnevale, le maschere…si devono indossare… anche se il mio proverbio, “la Cina non è viCina” stava lentamente sgretolandosi davanti alle immagini che vedevo. Primi di marzo…qualche caso in Italia, la Cina adesso era qui…si iniziarono a prendere timidi provvedimenti, palestre chiuse, consigli pratici, del tipo “non fate assembramenti” ed episodi di razzismo verso la comunità cinese, per condire la già felliniana situazione. La condizione di colpo precipita, i casi in Italia si stanno moltiplicando, Veneto 40 casi, Lombardia 150, Emilia 70. Piemonte, 30. I telegiornali adesso non sono più rassicuranti, non distribuiscono più immagini lontane, paura e ansia ma spargono immagini vicine, terrore e panico. Vado a lavorare in ambulatorio, la psichiatria non è un reparto di malattie infettive, ma ora anche qui si lavora con mascherine chirurgiche, (poche) e si misura la temperatura ai pazienti. Vedo negli occhi degli utenti e dei colleghi una grossa inquietudine, soprattutto per la cattiva gestione delle risorse umane. Un giovedì arrivo a casa dopo una giornata di lavoro, tutto sembra grottesco ma quasi normale. Verso le 18 ricevo una telefonata, un dirigente ASL quasi gentilente mi dice, “Di Benedetto, verrà contattato dalla direzione, da domani è distaccato presso il reparto Covid 1, la coordinatrice darà lei disposizioni, buona serata” quel buona serata stonava molto. Non lavoro più in un reparto di medicina da almeno 30 anni, la mia specialità ormai è un’altra, ma non ho avuto né modo né tempo per discutere, dopo cinque minuti ricevo un’altra telefonata, era la coordinatrice. Molto risoluta, forse arrabbiata, non riuscivo a capire il suo stato d’animo, a malapena capivo il mio. “Buonasera Di Benedetto, domani se la sente di fare la notte? “ – “Si certo, se necessario si” – “ Non è necessario è indispensabile “ – “ Va bene, dove devo andare?” – “Covid 1 ex chirurgia, dalle 23 alle 7, ma si presenti prima, la vestizione è lunga, grazie per la disponibilità a presto.” In meno di 15 minuti, la mia vita lavorativa era totalmente mutata, nessuna sicurezza, nessuna certezza, dovevo rispolverare immediatamente dal cassetto della memoria tutte le tecniche imparate 30 anni fa, la parte emotiva la gestisco bene, questa è ora la mia formazione, il mio lavoro, gestire l’emotività altrui, no… ho sbagliato, questo era il mio lavoro fino a questa mattina. Adesso c’è la parte più difficile da affrontare, dire alla famiglia che tutto sarà diverso, che tutto cambierà e che forse… no non voglio pensare al forse. Lo lascio in un altro cassetto, socchiuso però, non devo chiudere la paura di ammalarmi, se si è troppo tranquilli si è anche troppo distratti. Bisogna essere presenti a sé stessi, per aiutare gli altri e non incappare in grossolani errori. Entro in casa, non dico nulla, devo cercare le parole, ma devo essere chiaro, pulito non illusorio, anche mia moglie è infermiera, non posso raccontare fandonie e la figlia presente ha il grosso difetto di essere intelligente. Tutto d’un fiato dico: “Da domani vado a lavorare al Covid, dove ci sono persone affette da Covid 19, tutte positive, devo reinventarmi, non so nulla a dire il vero, se hanno respiratori, se hanno accessi venosi centrali o periferici…vedo. Quando arrivo mi organizzo, tutto qui.” Lo sguardo di mia moglie è eloquente, vorrebbe fare molte domande, ma adesso non è il momento, un semplice, “stai attento, tutto andrà bene” evita di smascherare particolari troppo crudi, forse indigeribili. Mangiamo in religioso silenzio, non voglio anzi non vogliamo sentire il telegiornale, siamo già troppo infarciti di paura, ascoltiamo mia figlia che nel frattempo sdrammatizza con la sua solita allegria. Il suo sorriso mi accarezza, il suo sguardo mi consola. Gioco con la pietanza, mi è passata la fame, ma faccio finta di niente, controllo le mie tensioni… sparecchio con cura, metto a posto ogni cosa, tentativo vano di mettere a posto i pensieri. Il silenzio regna sovrano in casa, ognuno è in stanze diverse, non si devono incrociare gli sguardi. Da domani tutto cambia…
Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.
A cura di Graziano Di Benedetto
Scrittore – Attore
Dieci consigli utili per passar le feste in allegria e con la coscienza pulita.
Passare il Natale e le Feste in famiglia, in serenità e con la pancia “piena” è l’ambizione di molti, anche la mia.
Ora, come è possibile conciliare questa ambizione con l’appuntamento insieme alla bilancia ed alla salute per l’anno nuovo?
Esiste una via di mezzo, quella del buon senso, che tende sempre a mettere d’accordo la maggioranza.
Ecco a voi quindi qualche suggerimento per raggiungere tale conciliazione.
Ti prego di non leggere oltre se non hai la minima intenzione di attivare la tua forza di volontà.
1- Considera il Natale e tutte le occasioni di incontro, prima di tutto come una Festa, un’occasione per stare in compagnia più che un’occasione per mangiare ad oltranza.
2- Mai arrivare a questi appuntamenti con la pancia vuota. Il suggerimento è di fare uno spuntino sano prima di arrivare a destinazione.
3- Se cucini tu, cerca di limitare i condimenti.
4- Limita la grandezza delle porzioni e magari evita di fare il bis di tutto.
5-Limita il consumo di vino, spumante, champagne e liquori vari6.
-Scegli di mangiare solo il tuo dolce preferito, non tutti quelli che vedi.
7- Se partecipi a un banchetto, meglio scegliere il posto a sedere più lontano dal buffet. Occhio non vede, cuore non duole.
8- Smista gli avanzi con i commensali e non conservare nulla (di calorico) per il giorno dopo.
9- Trova il modo di muoverti dopo il pranzo e/o la cena; balla o esci per una passeggiata, dando così una mano alla tua digestione e metabolismo.
10- Ricordati che se sei arrivato a leggerei fin qui, hai scelto di attivare la tua forza di volontà.
Queste saranno per te Feste migliori, felici, condivise e più consapevoli, con un occhio di riguardo in più per la tua salute e il tuo benessere.
Tanti auguri di BUONE FESTE A TUTTI VOI LETTORI.
Una rubrica che nasce dal desiderio di far conoscere il farmacista come consulente della salute a 360 gradi e non solo come preparatore e dispensatore di medicine e scatolette.
A cura della Dott.ssa Silvia Boggiato
Farmacista
LIBERI PENSIERI DI UNA FARMACISTA RUSPANTE: “Il magnesio, l’oligoelemento dell’estate”
Una rubrica che nasce dal desiderio di far conoscere il farmacista come consulente della salute a 360 gradi e non solo come preparatore e dispensatore di medicine e scatolette.
A cura della Dott.ssa Silvia Boggiato
Farmacista
Il magnesio è un oligoelemento indispensabile al buon funzionamento dell’organismo ed un vero rimedio naturale anti-fatica, anti-stress e anti-caldo. Stabilisce e riequilibra infatti il sistema nervoso e si comporta come se fosse il suo carburante; è un tonico generale, un rigeneratore cellulare e un rimedio ideale per i periodi di fatica fisica, di stress mentale, per i problemi legati all’attenzione ed alla mancanza di concentrazione, nei casi di iper-eccitabilità nervosa. Va bene a tutte le età; adolescenti, adulti e anziani, donne e uomini. L’unica controindicazione è l’insufficienza renale, perché l’organismo potrebbe non essere più in grado di disfarsi del sale minerale di cui non ha bisogno e questo potrebbe di conseguenza accumularsi e creare dei sedimenti. E’ l’oligoelemento più’ consigliato quando con un prodotto solo si vogliono risolvere più malesseri fisici e psichici. Il magnesio inoltre è contenuto in tanti alimenti. Lo troviamo nel cacao, nelle mandorle e nelle noci, nelle germe di grano, nella soja, nei fichi, nel pesce, nei crostacei e nei latticini. E’ consigliabile assumerlo naturale e non di sintesi, poiché spesso una grande quantità di minerali e vitamine di sintesi vengono eliminati dall’organismo senza essere stati precedentemente fissati e dunque senza aver agito su di esso. Una curiosità sul magnesio dedicata soprattutto alle signore? L’assunzione di magnesio aiuta anche a regolarizzare il transito intestinale, quindi consigliato anche a chi ha difficoltà in tal senso… mentre deve essere più cauto nell’assunzione di questo oligoelemento chi ha un transito regolare perché l’assunzione può indurre dissenteria fino a diventare purgante.
LIBERI PENSIERI DI UNA FARMACISTA RUSPANTE: “Dimagrire bene non è solo fare una dieta”
Una rubrica che nasce dal desiderio di far conoscere il farmacista come consulente della salute a 360 gradi e non solo come preparatore e dispensatore di medicine e scatolette.
A cura della Dott.ssa Silvia Boggiato
Farmacista
Ogni giorno in farmacia ci viene chiesto il miracolo: “Vorrei un beverone che funzioni, che mi faccia diventare magra… Oppure… “C’è una pastiglia che mi faccia buttare giù questa pancia?” o ancora… “Come posso togliere questa brutta buccia d’arancia?”
I miracoli possono accadere, ma non si fanno in farmacia e non esiste integratore in grado di raggiungere da solo l’obbiettivo, come non basta solo fare la dieta, fare attività fisica o sottoporsi a massaggi snellenti. L‘ ingrediente principe che garantisce il raggiungimento del risultato è la Volontà, che non deve mancare mai. Con la Volontà si arriva ovunque, prima o dopo poco importa, diventa semplice scegliere i metodi e gli strumenti giusti per arrivare a destinazione ed il percorso intrapreso diventa meno impervio e sempre più fattibile. Comprendere le difficoltà che ci hanno impedito di portare avanti la dieta e il calo ponderale è fondamentale per lavorare sull’origine del problema ed elaborare una strategia nuova. Mantenere poi la costanza nel tempo sia nell’educazione alimentare sia nell’abitudine al movimento ed all’attività fisica garantisce il raggiungimento dell’obiettivo. Lo stato di salute migliora di giorno in giorno, l’energia e la voglia di fare aumentano perché il nostro organismo sta meglio, sta bene e aumentano di molto anche la nostra autostima ed il piacere della propria figura. Consapevoli, quindi, che senza Volontà e motivazione personale, un piano alimentare corretto e un po’ di attività fisica difficilmente si riesce a perdere peso, aggiungendo che a corollario di tutto questo, l’assunzione di integratori mirati possono rendere ancora più semplice il raggiungimento del nostro obiettivo. Allora perché non provarci? L’arrivo della bella stagione ci da anche una mano! Non mi resta che augurare buon benessere a tutti!
Cara Madre Terra: “Ritorno al… passato”
Una difficile missione, se non quella di fermare il degrado della Terra cercando in tutti i modi di garantire un futuro migliore al prossimo. Tutto dipenderà dalle nostre scelte, ed in questa rubrica cercheremo di sensibilizzarci verso un Mondo più pulito ed in simbiosi con la natura.
A cura di Roberta Monagheddu
“Tanto non lo fa nessuno, tanto vale non farlo nemmeno io.”
Da quando ho iniziato a sondare il terreno sull’opinione altrui, la maggior parte delle persone mi risponde così quando si discute di cambiare alcune abitudini da consumatori del XXI secolo a favore di un’economia più sostenibile. E a me viene un nervoso che la metà basta.
Poi chiacchierando con queste persone riemergono i loro ricordi, di quando la nonna utilizzava la cenere per fertilizzare l’orto, di quando il sapone non era in flaconi di plastica ma “il Marsiglia solido va bene per tutto”, di quando il latte veniva venduto in latteria travasato nelle bottiglie di vetro, da riportare pulite per l’acquisto successivo, di quando l’acqua in vetro veniva consegnata a casa (a prezzi non esagerati come adesso). E potrei andare avanti per tutto l’articolo, il punto è che adesso siamo abituati alla comodità, e il pensiero che tutto ciò sia normale è talmente radicato nelle nostre abitudini, che pensiamo che nulla potrà mai cambiare. Che siamo spacciati. Secondo me invece il consumismo ci ha impigriti, e se ci informassimo magari scopriremmo che il cambiamento potrebbe non essere così tremendo. Cosa dovrei dire, è vero, non è facile. Però adesso qualche occhio si sta aprendo. Da quando Greta ha fatto capolino, io vedo attorno a me qualcosa che sta cambiando, una fibrillazione, c’è del fermento.
Dopo i Climate Strike del 15 Marzo e del 24 Maggio 2019, che sono stati di portata MONDIALE, tante iniziative sono nate o cresciute. Un esempio, alcuni dei ragazzi che hanno partecipato hanno creato una pagina Instagram fridaysforfuture_torino (Fridays for Future Torino) che invito tutti a seguire, è ricca di spunti interessanti, ma soprattutto finalmente potrai renderti conto che ti stavi sbagliando. Siamo in tantissimi che cerchiamo di fare qualcosa per cambiare! La frase “Tanto non lo fa nessuno, tanto vale non farlo nemmeno io” è completamente anacronistica.
E’ questo il tempo per noi consumatori di cambiare in modo importante la domanda, e possiamo farlo solo insieme.
“We don’t need a handful of people doing zero waste perfectly, we need millions of people doing it imperfectly.” – Cit.
PsiCHIcoline: “Tu prendimi… e portami via”
Qualche giorno fa, mi sono imbattuta in una discussione di alcuni utenti di Facebook. La diatriba riguardava una frase postata da un uomo che scriveva di aver portato a cena la moglie. Un’altra utente commenta a sua volta che il messaggio riprende un modo di dire ormai poco rispettoso nei confronti della donna e sarebbe più corretto dire: “Andiamo a cena insieme” e non ti porto, poiché le donne oggi lavorano e spesso sono economicamente indipendenti. La frase, prosegue l’utente, comunque evidenzia un modo culturalmente scorretto per sottolineare un disequilibrio economico per cui una donna non viene portata a cena ma si va insieme. A sua volta il marito risponde che considera sua moglie la donna più forte e indipendente che abbia mai conosciuto e il suo, solo un modo di dire galante, magari un po’ antico.
Mi aggancio, senza entrare nel merito della questione, per parlare di un argomento che spesso affronto nel mio studio, ossia il desiderio di “essere presi e portati via” nel rapporto di coppia. Non intendo quindi parlare di diritti, di conquiste, un tema a me molto caro e neanche dell’importanza del linguaggio e del suo significato ma vorrei parlare di desideri.. Il desiderio di cui parlo è spesso presente, a volte riconosciuto e a volte no, nelle tante persone che incontro nel mio studio e spesso dico ai miei pazienti che mi ricordano il famoso quadro di Chagall “Sulla città” che raffigura un uomo che vola sopra una città che porta con sé una donna, abbracciandola e sostenendola.
Prendimi e portami via… al mare, in montagna, a ballare, al ristorante, a fare una passeggiata, al cinema, a fare un viaggio…
Portami lontano dalle fatiche, dalle paure, dalle tristezze, dai pensieri, dalle giornate di lavoro, di malattia, di dolore, di aspettative, di attese, di affanni, di ansia, anche solo per un po’, anche solo un momento, una sera, un weekend…
Poi ritorneremo al qui et ora. Prendimi e portami via vuol dire: ascoltami, guardami, curami, sorreggimi, aiutami ma soprattutto occupati tu di me. Alleggeriscimi il peso e balliamo insieme, come se le nostre fatiche non ci fossero, danziamo, godiamo. Ricaricami le energie spente, stanche, non mi far pensare, fammi stare bene, anche solo per un po’… Perché nel prendermi e portarmi via ci si sente meno soli. Soli intesi come non capiti, non sorretti, non aiutati (verità o percezione che sia).
Il prendermi e portarmi via non è una richiesta solo delle donne, ma di entrambi. Certo, spesso sono più le donne che raccontano il peso di tante incombenze, sempre di corsa suddivise tra il lavoro, i figli, i mariti/ compagni, la casa, in un complicato e precario equilibrio. Ci sono anche gli uomini che desiderano essere sollevati e compresi nelle loro fatiche, preoccupazioni, incoraggiati nei loro progetti, “ri-guardati” dalle loro donne. E quando questo non accade, spesso ci si allontana, ognuno ritirato nella propria sofferenza e stanchezza; dietro l’angolo, il gioco non detto o a volte gridato di chi è più stanco e incompreso.
Prendimi e portami via… non è forse il patto degli amanti che lasciano il peso fuori dalla stanza? O l’abbandonarsi dei bambini addormentati sulla spalla di un genitore, degli sguardi degli innamorati o dell’amico dell’adolescenza che ti sostiene contro tutto e tutti? Ci penso io a te, tu fidati, affidati, appoggiati, per un po’, come una promessa, come un’illusione, come in un gioco. Mi piace pensare alla parola portare nella sua etimologia, tra i vari significati ritroviamo: il consegnare, fare un dono, sostenere su di sé, sopportare.
E allora sì, portami a cena, pensaci tu, io scendo dalla giostra del pensare a tutto, anche solo per un po’, anche solo per un’ora, anche solo per una sera.
“Tu portami via
Da questi anni invadenti
Da ogni angolo di tempo dove io non trovo più energia
Amore mio portami via”
Fabrizio Moro
PsiCHIcoline è una rubrica che nasce dal desiderio di avvicinare maggiormente le persone alle tematiche psicologiche. Conoscere e conoscersi per considerare i problemi, le paure, le sofferenze come opportunità, spesso scomode e sgradite, di fermarci e guardarci dentro per trarre nuova forza, consapevolezza, speranza e fiducia.
A cura della Dott.ssa Monica Rupo
Psicologa – Psicoterapeuta
APPUNTI DI BUSINESS: “Come scegliere il giusto prezzo per il tuo prodotto”
Prima regola: abbassare i prezzi è una strategia suicida.
Ciao a tutti e ben ritrovati,
nell’articolo precedente, ci eravamo lasciati con un interrogativo: come approcciarsi al mercato per individuare una corretta strategia di prezzo?
Avevamo condiviso che, prima di stabilire quale sia il corretto compromesso fra prezzo, costi e margine, tuttavia, è necessario fare una serie di valutazioni che riguardano, prima di tutto, i concetti di posizionamento e focalizzazione
Se non dovessi ricordarti di cosa si tratta, di seguito trovi i link agli articoli precedenti:
APPUNTI DI BUSINESS: “Next step, adotta una corretta ed equilibrata strategia di pricing”
Bene, una volta che hai la convinzione di avere tra le mani un Business interessante, è necessario decidere quale sia il corretto pricing da pretendere. Nella maggior parte dei casi, quando ci riferiamo a PMI e soprattutto al mondo delle startup, la mia esperienza diretta mi dice che il livello di approfondimento di una ricerca di mercato funzionale a decidere la corretta strategia di prezzo si limita alla seguente considerazione:
“Diamo un’occhiata a quello che fa la concorrenza più prossima e proponiamoci ad un prezzo leggermente più basso”.
Come se non bastasse, se i risultati tardano ad arrivare, la prima risposta è “Abbassiamo i prezzi!”
Ecco, questo è letteralmente quanto più si possa avvicinare ad una strategia suicida che porta, rispettivamente a:
– Erosione dei margini
– Affidarsi a fornitori che offrono prodotti/materie prime ad un costo minore e, più delle volte, ad una qualità inferiore
– Insoddisfazione dei clienti
– Difficoltà nel reperirne di nuovi
Questa spirale non può che rischiare di avvicinare a grandi passi le aziende che operano in questo modo verso un prevedibile fallimento.
Quindi, prima regola: abbassare i prezzi non è mai una buona idea!
Se non hai le risorse economiche per essere sempre e comunque quello che costa meno, e se sei una sas, una snc, una srl o una ditta individuale è impossibile che tu lo sia allora, è piuttosto sciocco cercare di essere “uno tra i meno cari”.
Non farai nient’altro che avere comunque prezzi e soprattutto margini molto bassi con i clienti che riuscirai ad attrarre mentre in ogni caso chi compra cercando il prezzo basso, finirà per cercare coloro che hanno in assoluto i prezzi più bassi dei tuoi. Ti stai infilando da solo in un vicolo cieco. Una situazione senza uscita.
Se sei in un business basato su merci indifferenziate, dette anche commodity allora necessariamente devi pensare a qualcosa di particolare, di diverso che ti permetta di competere non solo sul prezzo.
Se in questo momento stai pensando “Questo la fa facile… Ma se già faccio fatica a vendere a prezzi bassi, come faccio a fare in modo che comprano da me con dei prezzi più alti?”
La risposta continua a ricondurci ai concetti da cui siamo partiti: devi offrire qualcosa di diverso che ti renda differente dalla concorrenza (Posizionamento) per una specifica nicchia di mercato per la quale tu ed il tuo prodotto siete in grado di rispondere meglio alle rispettive esigenze (Focalizzazione).
Per cercare di aiutarti a comprendere meglio il concetto, faccio un esempio. Qualche tempo fa, leggevo un interessante articolo che verteva su questi concetti, in cui veniva raccontato come una determinata azienda era riuscita a ricavare margini enormi dalla vendita del sale di cucina.
Sì, intendo proprio quel sale che viene comunemente venduto a circa 30-40 centesimi al Kg. Questi signori erano convinti di possedere un sale “speciale” di qualità differente e, una volta deciso che avevano intenzione di lanciarsi in questo mercato, si trovavano di fronte alla scelta del corretto prezzo. Avevano, sostanzialmente, due possibilità: rimanere nel commerciare il comune sale da cucina a pochi centesimi al chilogrammo, oppure specializzarsi nella vendita di sali differenti e maggiormente pregiati per una clientela più esigente. Fu così che nacque il sale più pregiato del mondo: il Fiore di Sale della Sardegna che viene venduto a 81€ al kg contro i 30 centesimi di euro del comune sale da cucina. Stiamo parlando di un ricarico di oltre il 20.000% e non sono così certo che le proprietà per salare i cibi del Fiore di Sale Sardo siano così straordinariamente differenti dal giustificare una differenza di prezzo così abissale. Eppure questo dimostra che ci si possa differenziare anche commerciando del “semplice” sale da cucina. Indubbiamente non tutti (anzi, direi una limitatissima cerchia di potenziali clienti rispetto all’intero mercato) sono disposti a spendere queste cifre per del sale da cucina ma i margini sono tali da permettere di prosperare, diventando i migliori per quella nicchia di mercato che abbiamo deciso essere coerente con il nostro business. Personalmente, non faccio parte di questi “fortunati” che sono abituati a salare la verdura con il Fiore di Sale Sardo ma non dubito che abbia realmente qualcosa di particolare rispetto al comune sale di cucina, seppur continui ad essere convinto che l’estrazione e la lavorazione della materia prima non comporti costi molto più elevati dello standard. Ma anche senza ricorrere alla ricerca ed alla commercializzazione di prodotti particolari, è possibile vendere anche il comune sale da cucina molto più caro rispetto alla concorrenza. Cosa occorre?
– Un buon packaging
– Un nome efficace
– Un copy persuasivo
Se questi concetti suscitano il tuo interesse e vuoi capirne di più…
Stay tuned e non perderti le prossime puntate di “Appunti di Business”.
Una rubrica dedicata a temi legati a Business e PMI per spiegare in maniera semplice e fruibile come far sopravvivere una piccola o media impresa nella giungla del Business.
A cura di Andrea Bordignon
Customer Experience Manager
SCRIVERE CANZONI: “Bohemian Rhapsody, la canzone perfetta”
Tristezza, profonda tristezza.
Sono uscito con questo sentimento dalla sala numero uno del cinema quando i titoli di coda che scorrevano sulle note di “Don’t stop me now” mi confermavano con assoluta certezza che il film era terminato. Ma chi poteva fermarlo quello? Per un fan dei “Queen” di vecchia data come me era inevitabile precipitarmi a visionare un film biografico sul proprio eroe, Freddie Mercury il cantante che mi ha dato una spinta a salire su un palco e divertirmi con il pubblico. Nonostante conoscessi le disavventure della band, le immagini e le note che si miscelavano nella sala, mi hanno indotto una sorta di ipnosi rapendomi per tutti i centotrentatre minuti di lungometraggio convogliando tutte le mie emozioni verso quel sentimento di cui accennavo in apertura.
Perché tristezza?Cerco di ricostruire l’iter che mi ha portato fin lì. Ascoltando il brano “Bohemian Rhapsody” mi sono chiesto, ma come si può scrivere una canzone perfetta? Non si scrive. Ce l’hai dentro, segregata in un cassettone dell’animo. È un accumulo di emozioni aggregate con lo stesso procedimento grazie al quale si formano i coralli, come il corallo delicato e forte allo stesso tempo. E queste emozioni sono categoricamente negative: paure, timori, incertezze creando un legame direttamente proporzionale con il suo prodotto artistico.
Quindi parlando del brano in questione ho recepito la relativa massa di emozioni che l’hanno creata portandomi a decidere che l’animo di Freddie Mercury era obbligatoriamente dotato di cassetti molto capienti per contenerle tutte.
Tristezza, profonda tristezza.
E’ il segreto per non cadere nel pericolosissimo tunnel del “giusto rapporto qualità – prezzo”.
Buongiorno a tutti, oggi riprendiamo il discorso intrapreso nei meandri del Marketing Strategico, per poter compiere un ulteriore passo in avanti, volto a condividere alcuni dei segreti appresi nel nostro percorso professionale, nella speranza che possano rappresentare uno spunto di riflessione utile anche al futuro delle vostre attività.
Prima di entrare nel merito dell’argomento di oggi, un breve riassunto delle puntate precedenti, ordinate per priorità:
E’ il concetto chiave per ogni attività di successo. Nell’era moderna non è più sufficiente fornire un buon prodotto. Oggi la concorrenza è spietata ed il potenziale cliente ha una miriade di strumenti per informarsi circa quale sia il miglior fornitore a cui affidarsi. E’ fondamentale essere in grado di differenziarsi dai competitors per una caratteristica distintiva che ci rende inequivocabilmente la scelta migliore per un determinato target di potenziali clienti. Ecco, questo è il POSIZIONAMENTO.
Una volta individuato il nostro ELEMENTO DIFFERENZIANTE, ovviamente non deve rimanere un “segreto”. E’ necessario pertanto individuare un piano di comunicazione mirato che ci permetta di farlo sapere in maniera organica e strutturata. Ma dobbiamo farlo sapere a TUTTI? No, non necessariamente… Dobbiamo farlo sapere a tutti i potenziali clienti “a target”, coerentemente con il concetto di POSIZIONAMENTO di cui sopra.
L’epoca del “a più persone posso vendere, più soldi posso fare” è finita. Morta. Defunta da tempo. Ora è necessario FOCALIZZARSI solo sui potenziali clienti per cui la mia attività è in grado di rispondere alle esigenze meglio degli altri. Il ragionamento di base è il seguente: la concorrenza, avendo obiettivi più ampi e generali, serve una base di clientela decisamente più estesa, con mille diverse specificità. Ed è impossibile soddisfarle tutte. C’è dunque spazio per un’impresa che decida di concentrarsi su di una singola nicchia.
Ora, dopo aver ripercorso in estrema sintesi quanto condiviso nei precedenti articoli, approfondiamo il cosiddetto “Next step”: integrare nella tua strategia di vendita un giusto modo di costruire il PREZZO del tuo prodotto o servizio, che non ha assolutamente a che fare con “il giusto rapporto qualità – prezzo”, una strategia che hai sempre sentito usare come se fosse “oro colato”, invece non farà altro che infilarti dritto dritto nella battaglia del prezzo con la concorrenza che, immancabilmente, ti spremerà fino a dissanguarti.
Chi sta ancora combattendo oggi la guerra del prezzo, rischia seriamente di restare impantanato in sabbie mobili che possono diventare devastanti. Sempre più spesso sento imprenditori che dicono: “Oggi tocca lavorare il doppio di prima, guadagnando sempre meno”. Decidere una corretta strategia sul prezzo è davvero fondamentale; una scelta sbagliata potrebbe davvero far cadere tutto quello che di buono potresti aver costruito seguendo i primi 3 passi. Un errore in questa fase potrebbe vanificare dati di vendita indubbiamente interessanti. Quando le vendite aumentano, infatti, tutti esultano, tutti si crogiolano nel loro successo, dandosi sonore pacche sulle spalle. Peccato vendere di più, non è detto che faccia guadagnare di più, anzi.
Perché? Spesso si sceglie il prezzo del prodotto senza pensarci, adottando la strategia più vecchia e più fallimentare del mondo.
Ora ipotizziamo che tu debba lanciare un nuovo prodotto, da dove partiresti nello scegliere il prezzo? Che ragionamento faresti?
Ovviamente non voglio essere presuntuoso pensando di entrare nella mente di ognuno di voi ma, in linea generale, credo di non andare troppo lontano nell’affermare che almeno la maggior parte di voi opererebbe come segue.
Per prima cosa valuteresti quanto tu stesso paghi per il prodotto in sé, che sia di produzione propria o per il fatto di acquistarlo da qualcun altro. Ipotizzandolo ad un costo di 40€ andresti successivamente a vedere tutti gli altri a quanto vendono lo stesso prodotto. A questo punto potresti scegliere di seguire due strade:
A – Mettere il prezzo più basso possibile in modo da essere preferito rispetto a tutti gli altri in quanto “il più economico”. Se gli altri venderanno a 70€ tu ti posizionerai a 60€.
B – Ti posizioni nel mezzo tra chi lo vende al prezzo più basso e chi lo vende a quello più alto; magari aggiungerai anche qualcosina in più per quanto riguarda la qualità del prodotto uscendone fuori con lo slogan “il miglior rapporto qualità prezzo”. Se tra 60€ e 100€, tu ti piazzerai a 80€, proprio di mezzo. Peccato che questa strategia funzioni solo se l’unico ad attuarla, ma non è così. Tutti seguiranno la stessa strategia ed in men che non si dica ti ritroverai stritolato dalla concorrenza dei prezzi.
Quindi, come devi approcciarti al mercato per individuare una corretta strategia di prezzo?
L’argomento è ancora piuttosto articolato, ma non complicato. Ho deciso, pertanto, di rimandare la risposta alla prossima puntata. Ma come ben sapete, mi piace lasciarvi con un “compito per casa”, in modo da stimolarvi a riflettere pro attivamente sul vostro Business.
Iniziate a pensare quali possano esser i fattori del tuo prodotto o servizio in grado di offrire un’esperienza unica ai clienti e che facciano passare in secondo piano il fattore “prezzo”.
Approfondiremo nel prossimo articolo. Buon business a tutti!
Una rubrica dedicata a temi legati a Business e PMI per spiegare in maniera semplice e fruibile come far sopravvivere una piccola o media impresa nella giungla del Business.
A cura di Andrea Bordignon
Customer Experience Manager
PsiCHIcoline: “Oggi come ieri, tradizione e condivisione”
“O sangue mio come i mari d’estate!
La forza annoda tutte le radici: sotto la terrasta, nascosta e immensa.”
Gabriele D’Annunzio
Quest’anno per cimento, ho deciso di prendermi un po’ di tempo e dedicarmi a quelle antiche usanze del mettere via le conserve, marmellate e antipasti che mi riportano alle mani sapienti e soprattutto pazienti di molte mamme, zie e nonne. Ed è tra una marmellata ed una giardiniera piemontese in piena “fusion” tra usanze del nord e usanze del sud, che ho focalizzato le riflessioni che desidero condividere. Mentre preparavo questi antipasti ad un certo punto, più che la contentezza, ho iniziato ad avvertire la stanchezza ed il desiderio di finire più in fretta possibile questa “incombenza”, solo dopo ho realizzato che in fondo ero sola, mi mancava la condivisione, il prepararle insieme ad altri. Anni fa girai un piccolo filmato in una giornata di metà agosto in vacanza al mare, in cui riprendevo le mie zie intorno ad un tavolo pieno di melanzane, aceto, verdure, olio, barattoli. Le zie erano operose: chi tagliava le verdure, chi le scottava, chi le metteva nei barattoli e chi le rinvasava d’olio. Una piccola comunità operosa che a turno lavorava prima per se e poi per le altre. Certo la collaborazione non sempre era perfetta, il lavoro in corso d’opera poteva essere criticato: “Taglia di più, riempi meno i barattoli, attenta che così non vengono bene, ecc…” creando a volte malumori e in qualche caso anche litigi. Intorno al tavolo non mancavano mai le chiacchiere, i racconti, spesso anche i pettegolezzi, in una netta distinzione di generi e ruoli: alle donne era affidata la tradizione dei barattoli piccoli, agli uomini la capacità antica nell’accendere il fuoco per la legna, da porre sotto i grandi pentoloni delle salse oltre al maneggiamento della macchina dello spremi pomodoro. In quel caso di fronte alle famigerate “bottiglie di pomodoro”, tutti i membri della famiglia venivano chiamati a dare il loro contributo. I bambini, lavavano i pomodori o mettevano la foglia di basilico nelle bottiglie. Nel primo caso, i polpastrelli diventavano così rugosi da sfidare le mani di un centenario; all’inizio contenti di collaborare e stare con gli adulti poi sempre meno contenti perché il lavoro di meno prestigio dopo un po’ era noioso e sottraeva tempo al gioco. Con gli anni, i giorni della salsa diventavano più che un divertimento una vera e propria minaccia: “Domani niente mare, dobbiamo fare i pomodori!”. Sono trascorsi gli anni e la fatica di reperire la materia prima direttamente nei campi, la frustrazione di alcune annate in cui le bottiglie esplodevano, facendo diventare le cantine dei campi di guerra (ricordo ancora l’odore acido della salsa sparsa), il trasporto costoso o sempre più impegnativo ha fatto sì che molte persone non hanno più continuato questa tradizione. Al supermercato si reperiscono i prodotti con più facilità e forse anche ad un costo minore. Ma in fondo penso che ciò che rendevano speciali e uniche quelle conserve, quei sottaceti, quei pomodori fossero le relazioni di chi le faceva. C’era la trasmissione di saperi, gesti antichi, gesti pazienti, che scandivano i tempi giusti: quelli della maturazione dei frutti, degli ortaggi. C’era anche il senso del domani, un mettere in dispensa per l’inverno, c’era inoltre una pensare in condivisione: antipasti e sughi da cucinare o proporre in pranzi, cene, feste, un modo per ritrovarsi insieme. I prodotti dell’estate condivisi in famiglia che riscaldavano ancora il cuore oltre che deliziare il palato. Molte di queste tradizioni vanno scomparendo, è difficile avere il tempo di fermarsi per dedicarsi oggi a ciò che può servire domani; siamo sempre di corsa, in affanno presi da mille impegni; la salsa, l’ultimo dei pensieri. Nello stesso tempo in questi giorni di settembre nei supermercati abbondano barattoli vuoti da riempire, segno che ci sono ancora mani operose e volenterose che ostinatamente e in controtendenza conservano i prodotti. E poi ci sono loro i giovani, giovanissimi sempre più attaccati e affezionati ai nonni, che apprezzano spesso molto più dei figli (il salto generazionale evidentemente incide, forse non avendo avuto tempo di “odiare” da giovani queste usanze) che ringraziano e non vedono l’ora di gustare i manicaretti che i nonni preparano e che sembrano uscire dalla macchina del tempo. Spesso li immaginiamo capaci di apprezzare solo cibi spazzatura, panini, hamburger, ma non date per scontato che chiedendogli di scegliere tra questi ultimi e un piatto che attinge alle tradizioni famigliari sceglierebbero i primi! Come fruitori, sono degli ottimi buongustai, e allo stesso tempo gratificano l’esperienza, la pazienza e tutto l’amore che viene offerto loro come un dono sempre più raro e prezioso. Non dovremmo temere di coinvolgerli anche nella preparazione perché forse possiamo sembrare un po’ “vintage” ma alla fine lo stare insieme per parlare e raccontarsi forse anche attorno ad un tavolo tra un peperone e una melanzana rimane una ricchezza, un bene prezioso che può valere molto di più di quello che pensiamo. Certo non possiamo metterci al pari della tecnologia e non dobbiamo perché il mondo va avanti, però possiamo non dimenticare da dove arriviamo e cosa può renderci felici oggi come ieri.
PsiCHIcoline è una rubrica che nasce dal desiderio di avvicinare maggiormente le persone alle tematiche psicologiche. Conoscere e conoscersi per considerare i problemi, le paure, le sofferenze come opportunità, spesso scomode e sgradite, di fermarci e guardarci dentro per trarre nuova forza, consapevolezza, speranza e fiducia.
A cura della Dott.ssa Monica Rupo
Psicologa – Psicoterapeuta
Una difficile missione, se non quella di fermare il degrado della Terra cercando in tutti i modi di garantire un futuro migliore al prossimo. Tutto dipenderà dalle nostre scelte, ed in questa rubrica cercheremo di sensibilizzarci verso un Mondo più pulito ed in simbiosi con la natura.
A cura di Roberta Monagheddu
Bentornati, qual buon vento vi porta a rileggere la mia rubrica? Personalmente, il vento che mi ha portato a scrivere è stato quello del Sud, ed in seguito capirete il perché. Spero che dopo qualche giorno di pausa estiva siate riposati e che le vostre menti siano un po’ più fresche e determinate a riprendere la quotidianità. Dopo l’ultimo articolo, particolarmente impegnativo sia da scrivere che da leggere immagino, quest’oggi vi propongo in leggerezza alcune mie personali considerazioni. In questi giorni sono proprio contenta. Tutto è iniziato quando ho sentito una cosiddetta “Influencer” Instagram di usi e costumi parlare di inquinamento ambientale dato dalle plastiche, e dei provvedimenti che piano piano si stanno prendendo per arginarlo. Non capita spesso che un personaggio pubblico utilizzi la sua fama e le migliaia di visualizzazioni per diffondere quotidianamente messaggi utili, tra un advertising (pubblicità) e l’altro, semplicemente perché non è redditizio (ma non intendo generalizzare). Ho anche notato che ultimamente molti giornali, riviste e radio stanno dando voce a questo argomento: che la difesa dell’ambiente stia diventando una moda? Non è per moda che si dovrebbe difendere il pianeta, ma se questa può essere un veicolante, ben venga! Chi ha colto l’emergenza della questione ambientale cerca a questo punto di non ritorno di ingegnarsi nei modi più disparati per sensibilizzare l’opinione pubblica: scrivendo articoli, aprendo blog, cercando di cavalcare l’onda dei social e di rendere accattivanti i contenuti e molto altro. L’inquinamento causato dalla plastica è forse usato come cavallo di battaglia perché è visivamente molto di impatto. Come ho accennato inizialmente, sono stata in vacanza al Sud, precisamente a Napoli. Facendo la turista, passeggiavo, godendo del Sole, della brezza, della vista del mare, finché sono arrivata a Castel dell’Ovo, e mi sono avventurata alla scoperta di ogni suo segreto.
Ohibò, un cartello all’ingresso citava: “ONE PLANET, ONE FUTURE: la mostra temporanea di Anne De Carbuccia”.
Curiosa, sono entrata e tantissime bellissime fotografie con annessa didascalia spiegavano in termini semplici ma forti come le plastiche stiano rovinando gli ecosistemi, com’è il mondo con le plastiche e come potrebbe esserlo senza. Dal sito potrete guardarle tutte scorrendo fino alla sezione “Opere d’Arte”, se volete, e partecipare alle iniziative: www.oneplanetonefuture.org
“Anne richiama l’attenzione sulla crisi ambientale e climatica che stiamo vivendo e promuove il cambiamento a favore di stili di vita più sostenibili per il nostro futuro.”
Molti erano veramente attenti, e un po’ mi sono stupita perché penso spesso che alla gente importi poco di questi temi! Ma è anche vero che molti guardavano le opere ammirando la bravura dell’artista ma non approfondendo il significato, tanti purtroppo non entravano nemmeno. E’ una lunga strada per la sensibilizzazione mentre invece il tempo che abbiamo è breve. Colgo l’occasione per ringraziare Anne per il gran lavoro che sta facendo.
Dopo l’awareness (la consapevolezza), bisogna passare all’action. Anche in questo caso ci sono numerosi progetti in atto. Per esempio, ancora su Instagram ho trovato ragazzi volenterosi (posso citare @plastic_pollutionsolution per fare un esempio) che documentano le loro operazioni di pulizia delle spiagge e delle strade mentre si recano a scuola o al lavoro o in palestra; c’è chi raccoglie gli oggetti portati dalle maree, alcuni vengono smaltiti, altri sterilizzati, riqualificati e dati in beneficenza (come ad esempio palette e secchielli per bambini); organizzazioni più grosse lavorano le plastiche raccolte e producono oggetti da rivendere, con cui finanziano i loro progetti.
E’ molto difficile informarsi, ma soprattutto è difficile dare il buon esempio. Proviamoci, potrebbe essere più facile di quanto non si immagini, riducendo l’uso della plastica ed evitando di abbandonarla in giro.
Visitando la Reggia di Caserta, spettacolo meraviglioso delle ninfe in un laghetto. In mezzo vi svettava una bottiglietta di plastica. Fine.
Una rubrica dedicata a temi legati a Business e PMI per spiegare in maniera semplice e fruibile come far sopravvivere una piccola o media impresa nella giungla del Business.
A cura di Andrea Bordignon
Customer Experience Manager
Buongiorno ragazzi e bentornati nella nostra rubrica “Appunti di Business”.
Per iniziare sono d’obbligo le scuse per la “latitanza” delle ultime settimane ma fortunatamente, “il Business chiama” e gli impegni sono davvero tanti. Ma ora siamo qui e cerchiamo di entrare nel vivo della questione odierna. Avevamo affrontato negli articoli precedenti il posizionamento, per poi aprire un capitolo relativo alla comunicazione. Ora è giunto il momento di fare un altro passo in avanti, concentrandoci sulla selezione del giusto target di clienti. Iniziamo subito dicendo che se sei ancora nella condizione nella quale pensi cose come: “Il nostro prodotto va bene per TUTTI!!!!”. Molto probabilmente non hai lavorato sufficientemente sul punto numero uno, cioè non hai scelto realmente un posizionamento efficace. Lo so, lo ridirò per la millesima volta ma va bene così, perché so che stiamo parlando di un concetto contro-intuitivo. Scegliere di focalizzarsi sembra che ci faccia perdere opportunità e che “a più persone posso vendere, più soldi posso fare”. Ma in realtà ti garantisco che non è così. Soprattutto nell’ambito delle piccole e medie imprese è stato ampiamente dimostrato che privandosi della giusta focalizzazione non si possano ottenere risultati di qualche pregio. Supponiamo tu debba aprire un ristorante o, meglio ancora, un lounge-bar che oggi viene considerato al passo con i tempi. Quale sarà l’ingrediente fondamentale per far diventare in poco tempo il tuo locale un punto di riferimento per la tua zona nel momento dell’aperitivo?
Io direi nessuna di quelle sopra.
Attenzione, non sto dicendo che non siano importanti e che se segui i miei consigli potrai dare da mangiare e bere qualsiasi cosa ai tuoi clienti, in qualsiasi “bettola”. Ma quello di cui avresti più bisogno in assoluto è una folla di gente che sia affamata. Quindi vorrai raggiungere prevalentemente il target di persone che va dai 18 ai 35 anni che vive nella zona in cui hai aperto il tuo locale e soprattutto vorrai raggiungerle (in particolare se fai marketing online o con strumenti offline modulabili per orario come ad esempio la radio locale) nei momenti della giornata nei quali è più probabile siano assalite dalla fame.
Ecco…Qualunque attività tu faccia, in qualunque settore tu lavori e qualunque tipo di prodotto tu venda, devi trovare l’equivalente della tua folla di giovani affamati e fare marketing solo a loro e con la massima efficacia.
Una rubrica che nasce dal desiderio di far conoscere il farmacista come consulente della salute a 360 gradi e non solo come preparatore e dispensatore di medicine e scatolette.
A cura della Dott.ssa Silvia Boggiato
Farmacista
Ecco la richiesta di una cliente la scorsa settimana. Alla quale abbiamo professionalmente risposto: “Esporsi al sole senza protezione solare non è mai una buona Idea”.
L’80% dei raggi ultravioletti del sole riesce a passare attraverso le nuvole e i raggi arrivano comunque alla nostra pelle superando ombrellone ed indumenti. In poche parole, i raggi solari arrivano comunque e ovunque, quindi ATTENZIONE.
La protezione va usata tutti i giorni e in ogni luogo, non solo al mare sul lettino sotto il sole!
Attenzione particolare alle zone più esposte e sensibili, come viso, labbra, orecchie, spalle, mani e braccia.
I raggi ultravioletti sono i responsabili per il 90% dell’invecchiamento precoce della pelle, delle rughe e nei casi più gravi dei tumori della cute.
Anche chi ha la pelle scura e si abbronza facilmente deve proteggersi, in particolar modo nei primi giorni di esposizione, più a rischio di eritemi e scottature.
Comunque, anche una volta preso colore, la crema protettiva non deve mancare mai. Il sole colpisce sempre. In spiaggia sotto l’ombrellone così come in città, perfino in una giornata nuvolosa. E’ bene mettere al riparo la pelle con i fattori di protezione delle creme ed una maglietta, indossando sempre gli occhiali da sole.
Nelle ore più calde, dalle 12.00 alle 16.00, sarebbe comunque opportuno non esporsi direttamente.
Buon sole protetto a Tutti.
Una rubrica che vi farà percorrere uno straordinario cammino all’interno del mondo della scrittura creativa musicale.
A cura di Giuseppe Varrone
Autore, cantautore ed organizzatore del workshop “Posso scrivere la mia canzone”
Prima il testo o la musica?
Per quanto mi riguarda ho sempre dato la precedenza al testo, la musica è arrivata dopo ad avvolgere le parole sia nel caso in cui la scrivessi io, Massi o addirittura insieme.
Esiste una regola da seguire?
Per quel che mi riguarda non esiste un metodo da seguire per scrivere una canzone. Credo solamente nell’ispirazione e quella, fortunatamente, non la comandi, se arriva il testo lo scrivi, anzi io preferisco definire questa magia come traduzione. Vale lo stesso per la parte musicale, se hai la fortuna di trovarla nascosta dentro ad una chitarra o a qualsiasi altro strumento musicale.
Cosa si intende per traduzione?
La musica non si inventa ma è un entità esistente, il musicista ha solo la fortuna di sentirla prima degli altri traducendola in modo che diventi ascoltabile per tutti. Lo stesso vale per tutte le arti, disegno, scultura, insomma tutto. Anche se un mio pensiero particolare non voglio prendermi meriti che appartengono ad altri, già Plotino in antichità lo esponeva, cosa che mi ha sempre colpito moltissimo.
Scrivere un testo buono, e poi non riuscire ad abbinarlo ad una musica che soddisfi, o viceversa, come ci si comporta?
Devo dire che non tutti si fanno questa domanda, tante volte ascolto delle canzoni che viaggiano su due binari non paralleli, talvolta un buon testo accompagnato da una musica mediocre o, peggio, scarsa. Oppure mi capita di sentire delle bellissime melodie ma legate a testi troppo semplici o insignificanti. Ed è un vero peccato. Non parliamo dei casi in cui il testo scarso viaggia su di una musica mediocre.
Per rispondere a questa domanda, personalmente, quando ho un buon testo ma non riesco a tirarne fuori una canzone con una musica adeguata, lavoro con il mio coautore e so che qualcosa di soddisfacente uscirà.
Sono rari i casi in cui riesco a scrivere testo e musica di getto che anche dopo l’ennesimo ascolto continua a piacermi come se fosse la prima volta.
Ogni testo è musicabile?
Il mio pensiero è che ogni testo ha la sua musica nascosta da qualche parte, basta non avere fretta e tutte le melodie verranno vestite a pennello con il proprio. Come dicevo, ho sempre dato la precedenza alla scrittura del testo, invece una volta Massi aveva una musica molto particolare che inizialmente non mi suggeriva alcun testo. Doveva essere un brano aggiunto per riuscire ad arrivare ai dieci brani del primo disco. Per farla breve a forza di ascoltare la melodia, il testo è nato per ispirazione. Quel brano è diventato la title track del disco, “Labirinti Mentali” che utilizziamo in chiusura di tutti i concerti.
Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.
A cura di Graziano Di Benedetto
Scrittore – Attore
La punteggiatura ha un ruolo fondamentale nella struttura di ogni testo scritto, sia esso una semplice frase, un romanzo o altro ancora. La punteggiatura è quello strumento che detta i tempi di una narrazione. La lettura può essere facilitata o resa difficoltosa da una punteggiatura poco consona. Questa mia prefazione però non deve impedire, agli aspiranti scrittori, di usare la punteggiatura come strumento di grande utilità. Vi sono regole precise da seguire, ma quelle si possono tranquillamente leggere in ogni manuale di grammatica.
La punteggiatura è dal mio punto di vista, come un batterista che detta il tempo, scandisce addirittura i respiri dei personaggi. Spesso nei miei romanzi, la punteggiatura è stata oggetto di grandi dibattiti, soprattutto in sede di presentazione del testo al pubblico. Personalmente adoro e ripeto adoro, comporre frasi lunghissime che tolgono fiato al lettore, che rimane incollato alle parole senza battere ciglio alcuno. Poi rallento… rallento… usando spesso i tre puntini di sospensione… che possono anche infastidire… ma, danno spazio al pensiero, danno fiato alle emozioni, tema predominante dei miei romanzi. La libertà quasi regolamentata… nella punteggiatura è quella che amo. Si deve dare spazio alla libertà. Giochiamo con i punti e virgola, scriviamo le frasi come se parlassimo con noi stessi, questo specialmente dove è presente un io onnisciente. Lasciamo respirare le frasi per poi soffocarle come un bacio di due innamorati, spogliamoci, anche in questo caso, di paure e antiche credenze. Le frasi possono cambiare radicalmente di senso e di ritmo se usiamo la punteggiatura come dettano i nostri sentimenti:
Stessa frase, ritmo diverso, emozione diversa.
Divertiamoci ed emozioniamoci, solo cosi potremmo emozionare…
Una rubrica che nasce dal desiderio di avvicinare maggiormente le persone alle tematiche psicologiche. Conoscere e conoscersi per considerare i problemi, le paure, le sofferenze come opportunità, spesso scomode e sgradite, di fermarci e guardarci dentro per trarre nuova forza, consapevolezza, speranza e fiducia.
A cura della Dott.ssa Monica Rupo
Psicologa – Psicoterapeuta
Scena 1. Girando tra le corsie di un supermercato, la mia attenzione è rivolta ad una signora che con in mano il suo biglietto numerato, attende il suo momento per essere servita in un banco del pesce. Si guarda attorno, forse pensando che questa volta farà presto perché è l’unica cliente in attesa di essere servita. Continuo la mia spesa, ma con la coda dell’occhio seguo la scena, per vedere se ciò che era già accaduto a me, settimane prima, fosse stato un caso o una modalità di vendita non attenta e poco professionale. Trascorre un bel po’ di tempo e la signora è ancora lì, ha lo sguardo dubbioso, interrogativo, la signora che dovrebbe servirla continua tutta affaccendata a lavorare nei suoi scaffali, toglie il pesce, lo sposta, lo etichetta, toglie il ghiaccio da terra… e la signora sempre lì, speranzosa, probabilmente con l’umore che sta iniziano a cambiare e il solito dilemma: resto o vado via? Mi ha vista o non mi ha vista?
Scena 2. La giornata sarà lunga e decido di prendermi un caffè, entro in un bar, il barista dietro il bancone mi vede entrare ma con uno sguardo perso in chissà quale galassia gira il volto da un’altra parte facendomi sentire trasparente. Pazienza, decido che sarò io ad accogliere lui e non viceversa, per cui esordisco con un “Buongiorno” scandito chiaro, ma niente, l’attenzione del barman vaga da un punto all’altro del bar, vedo i suoi pensieri racchiusi in bolle. Al terzo buongiorno ottengo finalmente il buongiorno di ritorno e poi… silenzio, lo sguardo del ragazzo cade finalmente su di me, ma lo sguardo rimane fisso: se fossi una persona insicura, mi cadrebbero tutte le certezze: “Devo avere sbagliato locale, ho il rossetto sbavato, che succede?” Rimango ferma in attesa, voglio dare una possibilità a questo giovane smarrito, ma niente, alla fine cedo e ordino io un caffè.
Scena 3. Entro in un negozio di alimentari e sento una commessa che dopo avermi salutata con un cenno del capo, continua a parlare al telefono con suo marito o forse ex marito, discutendo sull’organizzazione dei figli, accuse, i toni si accendono… “Scusi il disturbo” penso tra me e me, forse è meglio che ritorni, ma rimango lì, del resto sono abituata a gestire la privacy.
Scena 4. In un reparto di ospedale, una inserviente si intrattiene qualche secondo a parlare con una paziente per una richiesta di un’informazione da parte di questa ultima. Appena mette piede fuori dalla stanza arriva con piglio deciso il suo responsabile che noncurante di tutte le persone attorno la “asfalta” rimproverandola sui tempi della gestione del suo lavoro.
Scena 5. Gruppo di colleghe di un ambulatorio, iniziano a parlare delle ingiustizie e cattiverie del loro datore di lavoro, pettegolezzi su altri colleghi, racconti poco idilliaci sul dietro e davanti alle quinte, retroscena di ordinaria disorganizzazione. Il tutto condito su aneddoti di clienti/pazienti irrispettosi, maleducati, con un linguaggio decisamente colorito. Gli sguardi si spostano ogni tanto sul mio, come se ogni tanto un barlume di riservatezza riaffiorasse, salvo scomparire immediatamente nella animosità e perseveranza delle proprie rivendicazioni. Una di loro mi punta e capisco che cerca una sorta di solidarietà sulla parola, e mi vedo fare un cenno di assenso con la testa, ma in realtà sto pensando che non ho poi tutta questa voglia di ascoltare, fuori dal mio lavoro, i problemi e le rabbie altrui e soprattutto non lo trovo corretto.
Questi racconti hanno tutti un denominatore in comune, la mancanza di professionalità che ritrovo sempre più spesso in molti ambiti lavorativi. Le questioni personali poste in primo piano scalzano spesso l’ABC di ogni rapporto venditore/cliente, servizi/utenza, ecc. Stiamo attraversando un momento storico, di crisi, incertezze lavorative, precariato e non mi addentro su analisi sociologiche e politiche di cui non ho competenze. Spesso però mi interrogo su quanto siamo disposti a metterci in discussione su aspetti riguardanti il lavoro che non si riferiscono solo a fattori esterni, di cui sopra, ma anche a fattori interni. Negozi e attività che aprono e che chiudono dopo poco tempo sono sempre di più, altri che resistono nonostante le difficoltà e la concorrenza. Il mondo del lavoro è sicuramente cambiato rispetto al passato e riuscire a stare in piedi è una impresa ardua, ma le riflessioni di questo articolo sono proprio rivolte a chi nonostante le difficoltà desidera aprire una attività o rimanere in attività. Solo spunti di riflessione.
Innanzitutto dobbiamo parlare della professionalità che dovrebbe essere insita in qualunque attività lavorativa. La professionalità non è una qualità innata, ma può essere appresa, una competenza che possiamo suddividere in tre dimensioni tra loro interdipendenti: morale, professionale, relazionale.
La dimensione morale riguarda i valori morali di fondo e i principi etici di una persona che ispirano o dovrebbero ispirare il comportamento di qualsiasi operatore professionale. Il professionista si avvarrà di conoscenze specialistiche, di esperienze, di informazioni e background culturali, maggiori rispetto al suo interlocutore senza approfittare di tale conoscenze per ricavarne un beneficio personale. Inoltre grazie a tale sensibilità, egli comunica e si relaziona sempre con modalità simmetrica, cioè alla pari, privilegiando un linguaggio semplice, chiaro e alla portata di chi ha di fronte. Si instaurano così le premesse per un rapporto di reciproca fiducia, leale e trasparente, frutto dell’osservanza sistematica di un rigoroso codice deontologico, che il professionista si sente moralmente impegnato ad osservare dovunque e sempre.
Il secondo aspetto si riferisce alla dimensione professionale, la fase più operativa nella quale il professionista mette a disposizione degli altri tutta la sua conoscenza e il suo “saper fare”, per conseguire gli obiettivi di volta in volta concordati. In questa dimensione sono evidenziate quindi le competenze, l’esperienza professionale consolidata sul campo, l’intelligenza declinata nelle sue varie forme, la creatività. È quindi un momento cruciale in cui il “mestiere” viene fuori, prende forma e diventa sostanza. Questa seconda dimensione della professionalità è quella che mette in crisi i non professionisti, coloro che si improvvisano, e che sono spesso più interessati ad un facile e spesso illusorio guadagno che non ad aumentare le loro competenze ed esperienze. Spesso manca la passione, l’impegno, la capacità di autocritica ed il reale desiderio di sacrificio verso una professione che andrebbe arricchita ed implementata. Viene meno in sintesi la parte del “know-how” su cui poggia una moderna professionalità, intesa come l’insieme di saperi e abilità e competenze necessari per svolgere bene una determinata attività. In questa dimensione così concreta e dinamica, i soggetti privi di professionalità arrancano, riuscendo a conseguire risultati spesso mediocri, ben al di sotto delle aspettative di chi ha riposto in loro piena fiducia, ritenendoli professionisti credibili e affidabili.
La terza dimensione della professionalità, la più critica, e spesso la più sottovalutata, dandola erroneamente per scontata, è quella relazionale e umana; consiste nel “saper essere” veri professionisti. In realtà questa può essere considerata la la dimensione più complessa ed articolata. Molti delle situazione descritte all’inizio dell’articolo si riferiscono proprio alla difficoltà di tanti professionisti di muoversi dentro questa dimensione, che risulta essere in molti lavori una dimensione che può favorire o al contrario porre in secondo piano le altre due dimensioni. Ma in cosa consiste esattamente la dimensione relazionale? Possiamo parlare di capacità nella comunicazione interpersonale, competenze che hanno innanzitutto una base nel proprio repertorio di comportamento, di abilità sociali, di competenze emotive consolidate personali. Tali competenze non sono innate ma vengono prese nel corso della vita e non tutte le persone ne sono fornite. Tali competenze sono invece indispensabili nel professionista di oggi che vuole gestire attività, poiché servono per riconoscere, gestire ed esprimere in maniera socialmente accettabile pensieri, emozioni stati d’animo e per governare la complessità delle dinamiche relazionali. Nello specifico delle competenze possiamo ricordare tra le più importanti: l’empatia, la stabilità psicoemotiva, la padronanza di sé, la gestione dell’ansia e dello stress. Tra le varie competenze sopra citate merita sicuramente un’attenzione particolare l’empatia intesa come condizione “sine qua non” di qualsiasi attività professionale. Infatti è attraverso la capacità empatica, che il professionista si pone di fronte alla persona, al cliente, all’utente di un servizio. Una persona con i suoi problemi, i sui desideri, le sue aspettative, che vanno ascoltati, compresi, rispettati. La capacità di entrare nell’assetto emotivo di chi ci sta di fronte, impone anzitutto la capacità di mettere in secondo piano il proprio assetto emotivo, i propri problemi.
Non possono infine mancare altri due aspetti che riguardano l’entusiasmo e l’ottimismo che sono risorse mentali necessarie per operare con efficacia (raggiungendo l’obiettivo prefissato) ed efficienza (avere abilità nel raggiungere l’obiettivo impiegando le risorse minime indispensabili).
Queste due qualità permettono a chi le possiede di svolgere con impegno e passione qualsiasi lavoro, poiché un professionista coscienzioso e responsabile svolgerà la sua attività sempre al meglio per sentirsi in pace con se stesso, pienamente soddisfatto e realizzato.
La professionalità è dunque un costrutto globale, un insieme di fattori articolati e complessi fatti di conoscenze, competenze, strumenti e qualità umane. In un momento storico di così fragili certezze, di cambiamenti repentini, di mercati sempre più in concorrenza, l’aspetto della qualità del servizio, intesa come capacità di proporre le dimensioni sopra descritte, diventa imprescindibile. Laddove inoltre tante relazioni interpersonali sempre più sono veicolate dietro un monitor, una chat, uno schermo, la parte “umana relazionale” può fare ancora oggi la differenza. L’accogliere l’altro nei suoi bisogni con gentilezza, con un sorriso, con una buona capacità di problem solving, con serietà, con rispetto, con scrupolosità, può fare l’enorme differenza tra le tante offerte del mercato del lavoro. Ed infine un ultimo spunto che riguarda l’aspetto della curiosità e della formazione. Pochissimi lavoratori oggi, sono esenti dal rimanere sul mercato senza aggiornarsi, studiare, formarsi. Il mondo corre, va veloce, questo significa che un lavoro è spesso in continuo cambiamento, bisogna stare al passo con le novità, bisogna sapersi mettere in gioco, cercare stimoli e capire come migliorare le proprie conoscenze che non sono più statiche come nel passato, ma sempre in trasformazione.
“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”.
(Charles Robert Darwin)
Bibliografia: “Vocabolario dell’intelligenza emotiva ed altro…” di Angelo Battista – Cacucci Editore 2011
Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.
A cura di Graziano Di Benedetto
Scrittore – Attore
Si dice spesso che la scrittura sia un dono della natura e che pochi fortunati siano in possesso di tale dote. Vado controcorrente ed affermo che tutti possono scrivere emozionando ed emozionandosi.
Pongo alcune domande: “Chi non è mai stato innamorato? Chi non ha mai subito una delusione amorosa? Chi non ha mai subito un lutto o litigato con colleghi, amici, familiari…o chi non ha mai assistito ad eventi particolarmente forti?
Ecco, di questo si deve narrare. Se non si vogliono mettere in gioco le proprie emozioni, l’osservazione è la base di una scrittura efficace. Tutto è fonte di emozioni, tutto è fonte di scrittura. Altro elemento da non sottovalutare è l’utilizzo dei sensi che normalmente usiamo, come l’olfatto: gli odori o i profumi scatenano ricordi antichi, forti, che colpiscono dritto allo stomaco.
Una minestra indigesta potrebbe diventare una pagina piene di emozioni scritte:
“Scendevo le scale che conducevano alla mensa, scale bianche come il latte, piene di venature rosa, come capillari malati, superficiali. La puzza di minestra colma di verdure vecchie, bollite e strabollite mi entrò nelle narici. La puzza si fece strada dentro i polmoni, dilatandoli fino a scoppiare. Broccoli marci come i pensieri della monaca che controllava i poveri bambini, inquadrati come soldatini feriti e senza futuro….”
Questo è solo un piccolo esempio di ciò che si potrebbe scrivere. Un inizio. E tutto nasce dalla puzza o odore di una minestra indigesta. Il resto viene da se. Lasciamo libere interpretazioni ai lettori e continuiamo scrivere sfruttando semplicemente il mondo che ci circonda.
Tutto è scrivibile e DESCRIVIBILE.