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“La telefonata. Io ed il Covid 19. Infermiere in corsia”

“La telefonata. Io ed il Covid 19. Infermiere in corsia”

Era circa metà gennaio: in Italia arrivavano spot, notizie di una nuova influenza, provocata da un virus non ben definito. L’epicentro era la Cina. Si vedevano immagini di mercati dove animali morti come pipistrelli, topi, serpenti, cani e animali vivi, ammassati e malnutriti erano in vendita davanti a una massa incredibile di persone, che si accalcava per acquistarli. Ero distratto da altro, famiglia da accudire, presentazioni di libri in programma, lezioni universitarie da preparare e quotidianità da svolgere. Per rassicurarmi coniai un piccolo proverbio, “la Cina non è viCina”, così facendo, chiusi la mia paura in un cassetto e mi gettai nelle mie attività. Il tempo passava e i telegiornali, sempre più insistentemente distribuivano notizie riguardo l’influenza e nel frattempo, dosavano paura e ansia.  Ma era periodo di carnevale, le maschere…si devono indossare… anche se il mio proverbio, “la Cina non è viCina” stava lentamente sgretolandosi davanti alle immagini che vedevo. Primi di marzo…qualche caso in Italia, la Cina adesso era qui…si iniziarono a prendere timidi provvedimenti, palestre chiuse, consigli pratici, del tipo “non fate assembramenti” ed episodi di razzismo verso la comunità cinese, per condire la già felliniana situazione. La condizione di colpo precipita, i casi in Italia si stanno moltiplicando, Veneto 40 casi, Lombardia 150, Emilia 70. Piemonte, 30. I telegiornali adesso non sono più rassicuranti, non distribuiscono più immagini lontane, paura e ansia ma spargono immagini vicine, terrore e panico. Vado a lavorare in ambulatorio, la psichiatria non è un reparto di malattie infettive, ma ora anche qui si lavora con mascherine chirurgiche, (poche) e si misura la temperatura ai pazienti. Vedo negli occhi degli utenti e dei colleghi una grossa inquietudine, soprattutto per la cattiva gestione delle risorse umane.  Un giovedì arrivo a casa dopo una giornata di lavoro, tutto sembra grottesco ma quasi normale. Verso le 18 ricevo una telefonata, un dirigente ASL quasi gentilente mi dice, “Di Benedetto, verrà contattato dalla direzione, da domani è distaccato presso il reparto Covid 1, la coordinatrice darà lei disposizioni, buona serata” quel buona serata stonava molto. Non lavoro più in un reparto di medicina da almeno 30 anni, la mia specialità ormai è un’altra, ma non ho avuto né modo né tempo per discutere, dopo cinque minuti ricevo un’altra telefonata, era la coordinatrice. Molto risoluta, forse arrabbiata, non riuscivo a capire il suo stato d’animo, a malapena capivo il mio. “Buonasera Di Benedetto, domani se la sente di fare la notte? “ – “Si certo, se necessario si” – “ Non è necessario è indispensabile “ –  “ Va bene, dove devo andare?” – “Covid 1 ex chirurgia, dalle 23 alle 7, ma si presenti prima, la vestizione è lunga, grazie per la disponibilità a presto.” In meno di 15 minuti, la mia vita lavorativa era totalmente mutata, nessuna sicurezza, nessuna certezza, dovevo rispolverare immediatamente dal cassetto della memoria tutte le tecniche imparate 30 anni fa, la parte emotiva la gestisco bene, questa è ora la mia formazione, il mio lavoro, gestire l’emotività altrui, no… ho sbagliato, questo era il mio lavoro fino a questa mattina. Adesso c’è la parte più difficile da affrontare, dire alla famiglia che tutto sarà diverso, che tutto cambierà e che forse… no non voglio pensare al forse. Lo lascio in un altro cassetto, socchiuso però, non devo chiudere la paura di ammalarmi, se si è troppo tranquilli si è anche troppo distratti. Bisogna essere presenti a sé stessi, per aiutare gli altri e non incappare in grossolani errori. Entro in casa, non dico nulla, devo cercare le parole, ma devo essere chiaro, pulito non illusorio, anche mia moglie è infermiera, non posso raccontare fandonie e la figlia presente ha il grosso difetto di essere intelligente. Tutto d’un fiato dico: “Da domani vado a lavorare al Covid, dove ci sono persone affette da Covid 19, tutte positive, devo reinventarmi, non so nulla a dire il vero, se hanno respiratori, se hanno accessi venosi centrali o periferici…vedo. Quando arrivo mi organizzo, tutto qui.” Lo sguardo di mia moglie è eloquente, vorrebbe fare molte domande, ma adesso non è il momento, un semplice, “stai attento, tutto andrà bene” evita di smascherare particolari troppo crudi, forse indigeribili. Mangiamo in religioso silenzio, non voglio anzi non vogliamo sentire il telegiornale, siamo già troppo infarciti di paura, ascoltiamo mia figlia che nel frattempo sdrammatizza con la sua solita allegria. Il suo sorriso mi accarezza, il suo sguardo mi consola. Gioco con la pietanza, mi è passata la fame, ma faccio finta di niente, controllo le mie tensioni… sparecchio con cura, metto a posto ogni cosa, tentativo vano di mettere a posto i pensieri. Il silenzio regna sovrano in casa, ognuno è in stanze diverse, non si devono incrociare gli sguardi.  Da domani tutto cambia…

Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.

A cura di Graziano Di Benedetto

Scrittore – Attore

Andrea Laruffa