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“Si apre la porta del Covid 19, una lacrima il primo incontro. Infermiere in corsia”

“Si apre la porta del Covid 19, una lacrima il primo incontro. Infermiere in corsia”

L’odore di candeggina accompagna il mio ingresso in reparto. A pochi metri da me una striscia di nylon bianca ed arancione sostiene un cartello fatto con carta da fotocopiatrice. La scritta è eloquente, VIETATO ENTRARE.  Entro con cautela nella “zona pulita.” La stanza è visibilmente riorganizzata, grandi scatole accatastate coprono le pareti, sopra ogni ripiano contenitori con pistole a spruzzo gocciolano copiosamente. Una grande finestra aperta, si affaccia nel buio. Solo qualche luce lontana scintilla silenziosa. Una giovane ragazza, con lunghi capelli neri mi saluta, esile come un fuscello. Un’altra giovane donna esce da una porta laterale. Il suo passo è più deciso. Capelli corti, occhi chiarissimi. Mi presento, “Ciao, sono Graziano, questa notte lavorerò qui. Ditemi tutto, io alle spalle ho 30 anni di psichiatria, voi?”.  Un grande silenzio… Poi, “Qui va bene tutto, nessun problema, io ad esempio ho bisogno di uno psichiatra, sono cosi fusa che non ricordo neppure il mio nome.” Ridiamo tutti assieme, nel frattempo mi siedo. Guardo il cartellone dei pazienti. 20 ricoverati, un solo posto libero. Da un’altra porta vedo arrivare un’altra collega, la riconosco dalla divisa. Il volto è coperto dalla mascherina in basso e dei profondi solchi in viso e nella fronte, intravedo la base del naso, sembra arrossato, ma non oso chiedere nulla. Sono l’ultimo arrivato. In attesa della consegna, per non rimanere fermo prendo una bottiglia con lo spruzzo, una manopola e comincio a detergere tutto. Nonostante la mascherina l’odore pungente di candeggina penetra le mie narici. Le maniglie sono i primi bersagli, poi ripiani, tavoli, scrivanie, stipetti, non manco nessun bersaglio. Ormai siamo tutti presenti. Inizia la consegna. La collega arrivata dalla porta del corridoio, inizia a parlare con dovizia di particolari. Il sig. xxx, è portatore di Venturi al 4% di ossigeno, satura al 90% ma in aria libera va sotto l’80%, l’EGA in aria libera è pessimo, in ventilazione discreto. PO2 nei limiti della norma, ma ieri molto peggio. Deve ripetere l’EGA domattina, più tutti gli esami in urgenza. Non ha un buon emocromo, e gli enzimi epatici sono tutti alterati, inoltre è KC positivo. Ha avuto due scariche diarroiche, feci non formate. Il secondo tampone al Coronavirus ha dato esito positivo. La mia mente comincia a girare vorticosamente. “La Venturi? Questa è un’avventura altro che Venturi.” Penso fra me e me, poi guardo il foglio della consegna, vi sono una serie di simboli accanto alle parole che sicuramente hanno un significato… ma quale? Non mi perdo d’animo, basta chiedere, ma non ora. Ascolto con estrema attenzione il resto della consegna. Le mie mani sono ferme, anche la mente lo è. Finita la consegna rimango con altre due colleghe. Siano fortunati ad essere in tre… senza dire nulla, una delle due, forse per rispetto della mia calvizie e barba bianca, dice, “Mi cambio io, inizio da sola, poi verso le tre venite voi e io resto nella zona pulita. Domattina vi sono 16 prelievi e 12 EGA, meglio essere in due. Alle 6,00 vi è anche molta terapia. Soprattutto endovenosa, qualcosa è già preparato, il resto è da preparare. Meglio che inizio.” Come un automa apre un armadio e tira fuori una serie di presidi, una tuta bianca da “imbianchino,” con un cappuccio, calzari azzurri per gli zoccoli, calzari verdi che coprono fino ai polpacci, due sacchetti dalla spazzatura piccoli, anche se non capisco l’uso, un grosso e pesante camice verde con dei lacci laterali e dietro, un paio di guanti con le maniche lunghe, un paio di guanti con le maniche più corte, poi cerca dentro l’armadio altro. Già solo per la prima ricerca sono passati molti minuti… Dopo estrae degli occhiali apparentemente da palombaro, di plastica trasparente, che coprono anche la parte laterale, degli occhi.  Poi inquieta ma concentrata prende da un altro armadio l’oggetto più indispensabile. La mascherina ffp2. Ci guarda e dice, “Ne abbiamo solo tre per questa notte e quattro per domattina, non dobbiamo sprecarle. Io guardo le mascherine con estremo rispetto. Il mio sguardo è fisso sopra di loro… non voglio guardare la collega, provo un enorme rispetto per la sua sicurezza. Ma ad un tratto vedo il suo volto corrucciarsi, gli occhi si inumidiscono. Lei sente il mio sguardo addosso, “Scusate la candeggina mi irrita gli occhi,” poi si gira e va in bagno, sento che strappa della carta. Non so che fare o cosa dire, l’altra collega ha lo sguardo basso. L’odore di candeggina e davvero pungente, viene da piangere anche a me… Si mi viene da piangere non da lacrimare. Mi alzo e vado verso la finestra, respiro ad ampie boccate, guardo il buio, il nero, il vuoto, l’incertezza. Le mie mani sono appoggiate al davanzale, le immagino già contaminate. Poi lentamente torno in me. Mi giro e dico, “Vado io se vuoi, nessun problema,” “No, non puoi, non conosci i pazienti e sei del tutto nuovo, andrai dopo con Francesca, io me la cavo benissimo, è la seconda notte che faccio,” “Va bene come vuoi tu”. Rispondo io quasi bloccando il tempo ed il respiro.  Quindi la giovane donna, la giovane collega, inizia la vestizione…

Perché una rubrica? Perché una rubrica con dentro contenuti di uno scrittore attore? Semplicemente perché l’arte non è solo apparire ma è anche lavorare con se stessi per approdare a risultati di cui tutti possono fruire. Leggere… leggete… troverete un mondo dentro gli spazi bianchi fra le righe nere.

A cura di Graziano Di Benedetto

Scrittore – Attore

Andrea Laruffa