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“Il corridoio, dove gioie e dolori si incontrano.”

“Il corridoio, dove gioie e dolori si incontrano.”

Era una mattina piovosa, il cielo plumbeo del mese di ottobre accompagnava me e mia moglie, all’ospedale Santa Croce di Moncalieri. Ci attendeva la visita morfologica. Il pancino materno era in trepidante attesa, ma non solo lui, lo era per tutti. L’ansia era palpabile come un batuffolo di cotone, morbida, soffice, ma presente, viva. Attendevamo tutti assieme verdetti e speranze. “Sarà un maschietto?” “Sarà una femminuccia” “Sarà sano?” “Sarà…” I pensieri negativi vennero subito accantonati come uno straccio usato, adesso pensavo alla battaglia dei nomi. “Giacomo? No, meglio Luca, no, Marco oppure Valentina.” Questi pensieri e questi nomi urtavano contro le pareti del lungo corridoio che fungeva da sala d’attesa per le gestanti e per i futuri papà, “Che posto poco intimo per queste situazioni.”

La coda è lunga, alcuni sono accompagnati da parenti o amici, ma soprattutto dai nonni, più ansiosi delle future mamme e papà. Nell’attesa accarezzo il pancino e distribuisco sorrisi, un gesto che distende i nervi, tesi come una corda di violino. Ad un tratto sento pronunciare il cognome di mia moglie ad alta voce e realizzo che il mio, anzi il nostro turno è arrivato. Una goccia di sudore si insinua fra le mie scapole, si infrange contro la maglietta, un brivido di freddo. Entro nella stanza con la mia consorte. Il lettino grigio con sopra un sottilissimo velo di carta, accoglie mia moglie e le mie speranze, io seduto in un angolo della stanza quasi nascosto da un armadio, rimango in silenzio. Si in silenzio, perché il monitor dove io e mia moglie abbiamo gli occhi incollati rimane fermo, buio. Silenzio assoluto. Non più una goccia di sudore s’infrange contro la maglietta ma un esercito di gocce, troppe. D’improvviso un rumore, un rumore che mi ricorda un cavallo al galoppo, accompagnato da un’immagine in bianco e nero, incomprensibile per me e mia moglie, ma la dottoressa, con voce calma e sicura dice “Il cuoricino batte e bene anche, è una femminuccia, e in questo momento si sta esibendo per voi, vedete? Si sta girando adesso, il cordone ombelicale è libero, lungo il giusto, mi sembra tutto nella norma.” I nostri animi si riempiono di gioia, gli occhi lucidi non nascondono la mia felicità. I pensieri miei e di mia moglie volano a tutti velocità, come il galoppo di un cavallo libero e felice, al nostro primo figlio che ci attende a casa, ansioso anche di lui di sapere con chi dovrà dividere i giochi e le storie da raccontare. I nostri sorrisi non hanno bisogno di molte parole. Ci accomodiamo fuori dalla stanza in attesa del referto scritto, pura formalità.

Un altro nome rimbalza fra le pareti del corridoio, è giunto il momento di un’altra coppia. La porta si chiude, un tonfo che s’infrange contro la speranza dei familiari fuori in attesa. I minuti si dilatano, sembrano anni, secoli… Un urlo soffocato, accompagnato da un pianto dimesso oltrepassa l’uscio, passa attraverso la serratura e penetra i cuori di chi attente. La porta si apre, il padre è una maschera di dolore, le lacrime escono come zampilli di una fontana, poi con voce rotta dice “Il cuore non batte, il cuore non batte…” Poi s’incammina verso un punto non definito, come se cercasse qualcosa, forse la speranza che si è lasciato dietro dopo questa terribile notizia, o forse…chissà…in cerca di quella dignità persa per un solo attimo, uno solo. Il mio sguardo non incrocia il suo, non lo reggerei nemmeno. Tutti gli sguardi sono proiettati nel vuoto, nel nulla, nessuno guarda nessuno adesso, ci si guarda solo dentro. L’uomo esce dalla mia vista, ma ritorno poco dopo con passi decisi, con lo sguardo dritto verso la porta. Sa di dover sostenere la moglie e forse di dover dire al figlio rimasto a scuola a fare i compiti che il fratellino non arriverà più a casa, ma che è volato in cielo. Via, via per sempre. Nel frattempo i medici, mascherati anche loro, vestiti di competenza e professionalità ci consegna il referto. I loro sorrisi nascondono tristezza, non per noi, ovvio. Nessuno si abitua a queste notizie. Il silenzio di un monitor è molto rumoroso…. quasi assordante.

Io, mia moglie e la nostra piccola, usciamo dal corridoio, quasi corriamo. Ci lasciamo dietro il rumore del silenzio. Questa giornata, programmata per essere felice, si è trasformata in una giornata dove i perché si sovrappongono alle risposte. Perché…perché…perché?

Perché famiglie con difficoltà a procreare, si contrappongono a famiglie che con estrema leggerezza prendono decisioni vitali, si vitali o di vita… Perché famiglie desiderose di accogliere da anni bimbi in adozione si scontrano con famiglie che gettano nei rifiuti creature ancora in fasce, o perché coppie decidono di non avere figli mentre altre coppie si dilaniano per aver perso il soffio di vita che cresceva dentro il grembo….

I perché potrebbero continuare all’infinito…ma ora, da questa esperienza, esco più maturo, più consapevole.

La vita è un dono e va rispettata. Di Andrea Laruffa e Graziano Di Benedetto